Prolungare la vita di un vestito di soli 9 mesi riduce del 20-30% il peso di CO2 , acqua e rifiuti – Più di una recensione del libro di Elisa Nicoli, Chiara Spadaro, Plastica addio, altreconomia, Milano 2019, pp. 208, € 14,50

Cinzia Picchioni del Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi 13 Torino

È un momento ideale perché stiamo per andare in vacanza (o forse siamo già lì o ancora siamo appena tornati), e ovunque andremo ci sarà qualcosa da fare per mettere in pratica i consigli contenuti nel libro, per riflettere sui dati che si trovano nelle sue pagine, per salutare – come suggerisce il titolo – in modo definitivo il materiale onnipresente che sta invadendo tutti gli spazi: mare, montagna, lago, fiume, torrente, campagna, città.

Ovunque siamo – o saremo – in vacanza, ma persino se non potremo lasciare la nostra casa troveremo la plastica. Non è inquietante? Non ci viene una leggera nausea? A me sì.

Io mi sento assediata, da molto più tempo in realtà. Sorrido leggendo delle iniziative organizzate da Legambiente per «Puliamo il mondo», ricordando di quando – con mio figlio bambino (ora ha 30 anni) – al mare passeggiavamo per chilometri lungo la spiaggia adriatica in cui trascorrevamo le vacanze. E sapete qual era il gioco? Non racchettoni sudaticci, non acquascooter inquinanti (anche acusticamente), non beach-volley brucia-piedi. Il nostro gioco mattutino preferito era raccogliere la plastica e buttarla nei bidoni (disseminati ovunque, a disposizione di chiunque, cavolo, perché nessuno li usa? Si chiedeva il mio idealista – perché piccolo – bambino). Era un divertimento perché la varietà degli oggetti era incredibile!

Era divertente perché mio figlio poteva arricchire la sua attrezzatura per fare castelli, paesaggi e piste per le biglie: palette, secchielli, formine si sprecavano a decine, sepolte sotto la sabbia, abbandonati lì da mamme distratte. Sacchetti che contenevano ombrelloni, tappi di bottiglie, misteriosi – enormi e lunghissimi pezzi di plastica che emergevano via-via che li tiravamo fuori da sotto la sabbia erano i nostri tesori.

Lungo la camminata raccoglievamo anche i complimenti di chi – vedendoci fare questo «lavoro» – ci ringraziava commentando sull’inciviltà dilagante… «Ma…» diceva sempre il mio ingenuo e veritiero bambino – «… perché allora non lo fa anche lui?» o lei, o loro? Già perché?

La raccolta-plastica diretta sulla spiaggia è le fine però. Molto più utile è tornare all’inizio. Ed è ciò che fa il libro: ribadire che il problema è all’origine e che il riciclo è la soluzione che non risolve.Lo dico anch’io, attirandomi le ire di chi ascolta, quando mi trovo a parlare della semplicità volontaria e mi dichiaro provocatoriamente non d’accordo sul riciclaggio.

Le autrici sono lapidarie con un titolo in particolare, a p. 60: La soluzione che non risolve: il riciclo. Nelle pagine successive leggiamo dati e numeri che dimostrano come il riciclaggio non sia risolutivo. Il che non significa non attuarlo, anzi; il libro insegna a riconoscere i vari, infiniti tipi di plastica proprio per fare un buon lavoro di raccolta differenziata. Non basta infatti buttare nel bidone della raccolta-plastica qualunque cosa che noi crediamo essere «plastica». Per esempio non sono riciclabili (pur essendo di  «plastica») gli utensili da cucina, i rasoi usa-e-getta, i contenitori delle lenti a contatto, la cancelleria, i giocattoli, i vasi e i sottovasi per le piante, gli appendiabiti, le custodie di CD e DVD, le siringhe, le posate monouso, i bastoncini per mescolare lo zucchero, le valigette delle catene da neve… Lo sapevate? Di tutti?

Ancora Fritjof Capra, ancora Nanni Salio

Dunque-dunque… scopriamo che per dire addio alla plastica dobbiamo conoscerla per bene. E il libro ci aiuta in questo, essendo pieno di sigle e tabelle per riconoscere il tipo di materiale che abbiamo in mano. E non solo per sapere dove buttarlo, ma anche per decidere di non più acquistarlo/usarlo/regalarlo. Insomma: Missione «c’è l’alternativa?» è la nostra d’ora in poi.

Le alternative sono elencate nella Terza parte: Fare a meno della plastica, dove scopriamo consigli e azioni per tutti gli àmbiti: cura della persona, scuola/ufficio, viaggi, animali/bambini, cucina/casa. Le idee sono rivolte a tutti, senza talebani, ma anzi suddivise per livelli di difficoltà (principiante, esperto, professionista).

«Padrino» del paragrafo è Fritjof Capra, citato a p. 108 con la sua riflessione sull’ecologia profonda, che «non separa gli esseri umani – né ogni altra cosa – dall’ambiente naturale. Essa [l’ecologia profonda, NdR] non vede il mondo come una rete di fenomeni che sono fondamentalmente interconnessi e interdipendenti». Ho adorato trovare Capra citato qui, perché per me la citazione riguardava anche Nanni Salio (che, per chi ancora non lo sapesse, è stato il traduttore del libro fondamentale di Fritjof Capra, Il Tao della fisica, nel lontano 1982). Ho avuto il privilegio di ricevere parole e discorsi da Nanni Salio, finché è stato sulla Terra, e sempre ricordo la suddivisione che operava in ecologia superficiale ed ecologia profonda. La prima è quando ricicliamo la plastica, la seconda è quando decidiamo di non più comprarla (continuando a usare quella che abbiamo già, proprio per prolungarne la vita e rimandare il più possibile il momento in cui diventerà rifiuto).

Prolungare la vita di un vestito di soli 9 mesi riduce del 20-30% il peso di CO2 , acqua e rifiuti (dati Worldwide Responsible Accredited Production [WRAP], 2012).

Il concetto di «ecologia profonda» è ben spiegato qui e là nel libro, con frasi fulminanti (da scrivere come quelle su calamite da frigo): «non fatevi prendere dallo shopping compulsivo post-plastica», «la prima regola resta il non-acquisto», «compra solo ciò che non possedete già» (p. 110). Esempio: ho uno spremiagrumi di plastica? Non lo butto – anche se nella raccolta differenziata! – per comprarne uno di vetro. Lo tratterò meglio che posso, perché duri il più possibile e poi lo comprerò di vetro (e manuale).

Da subito invece – consiglia sempre il libro – posso smettere di usare/comprare/far produrre la plastica; è il caso dell’acqua in bottiglia, per esempio. Ma perché l’Italia è la prima consumatrice d’Europa (e la seconda nel mondo! La seconda!) di acqua imbottigliata??? Consumiamo 206 litri di acqua in bottiglia, in un anno, ognuno di noi. Un po’ più di 1/2 litro al giorno. Ma siamo deficienti? 1/2 litro al giorno e non possiamo comprarla nel vetro? Ma forse allora è più l’«idea» che ci spinge a caricare le nostre auto di pacchi e pacchi di bottiglie di plastica (imballate in altra plastica!) piene d’acqua? Se poi i medici insistono sulla necessità di bere di più – anche il nostro medico ce lo dice: «Dovresti bere di più», e spesso replichiamo «Eh sì… è vero, io non bevo…» – allora c’è proprio qualcosa che non va… che sia la pubblicità?

L’iniziativa «Plastic Radar» (2018)
ha rilevato la presenze di rifiuti sulle spiagge:
3mila cittadini hanno fotografato 9 mila immagini.
1 su 4 era una bottiglia di plastica:
Acqua Vera, Levissima, Motta e San  Pellegrino,
tutte Nestlè…

Conoscere il nemico

Non perdetevi la Tabella Come riconoscere i diversi polimeri alle pagine da 18 a 20; ci sono stampati i marchi ben riconoscibili per sapere che tipo di plastica avete davanti, per decidere di non comprare quello yogurt che sul fondo ha quella sigla, preferendo cercarlo confezionato nel vetro… sentite che nomi, invece che «vetro»: bisfenolo, nonilfenoli, PFAS (perfluoroalchiliche), ritardanti di fiamma… Cosa sono? Additivi nella fabbricazione delle plastiche, sì, anche quelle «per uso alimentare», stirene, propilene, eteri di difenile polibromurati… tutto per ottenere la flessibilità, la resistenza al calore e alla rottura ecc.! E dopo esservi inquietati con questi nomacci, leggete, nel capitolo 4, I danni della plastica alla salute umana (da p. 49) per decidere di ridurre/eliminare la plastica dalle vostre vite (e vene) e da quelle dei vostri figli e nipoti.

Vi siste persuasi? Se no, PERSUADED è proprio il nome di un progetto dell’Istituto Superiore di Sanità (+ il CNR di Pisa, l’università Tor Vergata e l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma+la rete dei pediatri del SSN). Il progetto ha condotto un monitoraggio proprio sull’esposizione dei bambini a ftalati, DEMP e BPA e le malattie infantili (obesità, sviluppo prematuro del seno (telarca), pubertà precoce). Se visiterete il sito troverete anche un decalogo con suggerimenti «affini» a quelli del libro che stiamo presentando. Ne copio qualcuno, da p. 56:

  • 1 – ridurre l’uso di prodotti in plastica PVC
  • 2 – ridurre il tempo con giochi di plastica – compresi quelli elettronici
    3 – limitare il consumo di cibi pronti, se preparati e distribuiti in contenitori di plastica
    4 – evitare di utilizzare il microonde con alimenti già conservati nella plastica
    5 – una volta scaldati consumare gli alimenti in contenitori diversi dalla plastica
    6 – limitare il consumo di acqua confezionata in bottiglie di plastica.

Non solo divieti

Il libro è una miniera di consigli – subito operativi e realizzabili – per non usare/comprare/regalare la plastica. Cosa usare al posto di cerotti, assorbenti, carta igienica? Cerca le alternative tra le pagine e troverai siti, disegni, dati che aiutano a diventare esperti per poter dire «Addio» alla plastica; ce ne sono disseminati lungo tutto il libro e nell’ultimo capitolo Materiali utili, 5 pagine fitte di libri, documentari, associazioni, Campagne, negozi di prodotti sfusi, siti e negozi virtuali, consigli pratici per farsi le spugne, una borsa con un ombrello rotto o con una T-shirt:

amputate le maniche
piegate a metà la maglietta e tagliate via il collo
recuperate due strisce di stoffa dalle maniche
fate due taglietti sul bordo inferiore della T-shirt
dentro questi due taglietti
infilate, una per parte, le due strisce di stoffa, usando una spilla da balia
annodate le strisce tra di loro per chiudere il bordo
Pronta

A intùito…

… ma nel libro ho trovato continue conferme, ho sempre visto con sospetto il pile, ho sempre preferito la lavatrice a carica frontale,

La lavatrice a carica frontale
fa rilasciare 7 volte meno microfibre
di quella a carica dall’alto


(secondo un’indagine commissionata da Patagonia nel 2016, p. 166).

Non ho mai voluto usare il silicone (né in cucina né sulla pelle né dentro la pelle), non fumo, non mi trucco, non mi tingo i capelli, ho sempre preferito e comprato la Coccoina, cerco di usare il meno possibile batterie e aggeggi che ne richiedano l’impiego, non compro e non uso i tessuti tecnici (sciare ad alta quota, arrampicare, immergermi negli abissi, campeggiare in situazioni estreme, quando richiedono l’acquisto e l’uso del cosiddetto technowear, li lascio proprio stare). A proposito di immersioni: entro il 2050, in termini di peso, nell’oceano potrebbe esserci più plastica che pesce, e un sacchetto di plastica è stato rinvenuto a 10.898 metri di profondità, nella Fossa delle Marianne!!! Per me non è più grave che trovarlo sulla spiaggia dove passeggiavo con mio figlio. È uguale. Sono tutte conseguenze le une delle altre.

Non possiamo limitarci a godere del mare e basta?

Senza costume (niente è come fare il bagno nudi! Io l’ho imparato da mio padre, che ci portava di notte a farci provare quell’ebbrezza inimitabile), senza pinne né maschera, muta, bombole, orologi, cuffie… tutte plastiche!!!

Da 131 a 162 milioni di particelle di plastica sono stati trovati nel ghiacciaio del Forni (uno dei più importanti apparati glaciali italiani: tra 2600 e 3600 m s.l.m.); è la plastica è finita lassù grazie agli umani, alle loro attività escursionistiche e scalatorie: «lasciata dall’abbigliamento e dall’attrezzatura degli escursionisti o trasportata dal vento» (p. 43).

Un normale lavaggio in lavatrice di un capo sintetico genera in media 1.900 microplastiche per capo d’abbigliamento, il 180% in più delle fibre rilasciate dai capi di lana. […] Un solo capo [in poliestere] può rilasciare «fino a 1 milione di fibre microplastiche in un unico lavaggio (Detox Greenpeace)» (p. 47).

«Beat the microbead è una campagna contro le microplastiche nei cosmetici: 448 marchi di 119 aziende hanno aderito con la promessa di rimuoverle dai loro prodotti. Dal 1° gennaio 2020 è vietato commercializzare prodotti cosmetici “da risciacquo ad azione esfoliante o detergente” contenenti microplastiche» (p. 47).

Non comprare (e non solo perché è la prima legge della semplicità volontaria)

Verificare la carta degli scontrini

Da quando ho letto questo libro per scriverne una recensione (cosa di cui non aveva alcun bisogno in verità, nel senso che “si vende da solo” – o almeno così dovrebbe essere) ci faccio caso e scopro cose interessanti: il mio ciclista di fiducia per esempio (Bicycle Garage, via Barbaroux 40/C, Torino) usa una carta «BPA free», doppio applauso: perché fa il ciclista e per la scelta della carta per gli scontrini. Non si dovrebbe usare il BPA – carta termica, col fenolo – da gennaio 2020. Peccato che se si sostituisce il BPA col BPS l’impatto sulla salute (negativo) non cambia! Controlliamo la scritta che sta dietro agli scontrini: KT55FA (senza bisfenolo A), KT55PF (senza bisfenolo completamente). E semmai cambiamo negozio! Motivando la scelta col negoziante, così può decidere di cambiare il suo fornitore di rotoli per la cassa…

Questa degli scontrini è una delle azioni che possiamo cominciare subito a fare. Sono sempre contenta quando leggo dei libri con informazioni nuove, con azioni immediatamente applicabili, con cose che già non ia facendo, con suggerimenti che non conosco, per abbassare il mio impatto sulla Terra. E questo libro è pieno di cose che non sapevo, di siti nuovi per approfondire, di operazioni (e ricette, e modelli da cucire) da iniziare domani, anzi oggi stesso. Subito. Senza aspettare decisioni dall’alto o leggi improbabili.

Togliere le etichette

Che c’entra con la plastica dite?

Il vetro è riciclabile all’infinito, e ci permetterebbe di non avere mai bisogno di comprare/usare la plastica per conservare i cibi. Personalmente scelgo sempre il vetro e cerco di riutilizzare i barattoli/le bottigliette/i vasetti (perché comunque, anche se li butto nel bidone del vetro il riciclaggio costa energia, tempo, denaro!). Però devo (e voglio) togliere la vecchia etichetta, e se non riesco a farlo facilmente cambio marca e prodotto, alla ricerca di barattoli la cui etichetta si rimuova facilmente, solo con un ammollo (e al massimo una spugna abrasiva). E anche in questo caso le aziende ci faranno caso e magari cambieranno le colle? Che bisogno c’è di usare una colla che resiste mille anni e che si toglie solo con altro veleno???

Sacra, ecologicissima Moka

Perché-perché-perché usiamo le macchinette+cialde per fare il caffè in casa??? E anche in ufficio!!! Si chiama «pausa caffè» giusto? E come mai vogliamo che duri poco allora, il meno possibile? «Con la macchinetta si fa prima» è di solito la risposta… bah!

Alle pp. 135 e 136 troviamo alcune notizie riguardanti la legge secondo cui «Il miglior risveglio dovrebbe essere un caffè biologico e da commercio equo e solidale» fatto con la Sacra Ecologicissima Moka che se la compriamo di acciaio inox è pure eterna. Consigli per sostituire le cialde classiche con quelle riutilizzabili, o che si svuotano e si recupera il caffè per buttarlo nel compost (perché altrimenti nemmeno le cialde di carta – come le bustine del tè – possono essere smaltite nell’organico!); indirizzi e siti e tutto. Ma, dico io, perché farsi questi problemi? Il caffè si fa da secoli con un bricco, una caffettiera napoletana, una moka inventata apposta! Perchè complichiamo le cose semplici credendo di… semplificarle?

3 danni in 1

Goletta dei Laghi è una Campagna di Legambiente che nel 2018 ha monitorato 20 arenili in Italia (nei laghi Iseo, Maggiore, Como, Garda, Trasimeno) trovandovi 2 rifiuti e 1/2 in ogni metro quadro di spiaggia: 2.183 rifiuti censiti, di cui il 75,5% sono plastica. Quasi il 30% dei rifiuti lacustri è costituito da mozziconi di sigaretta. Due danni in uno… anzi tre! 1. Le piantagioni di tabacco (con sfruttamento dei lavoratori, moltissima acqua necessaria per la coltivazione), 2. il danno sulla salute individuale e collettiva, infine 3. l’inquinamento da mozziconi!

Un altro «3 danni in 1»?

L’IUCN (International Union for the Conservation of the Nature-Unione internazionale per la conservazione della natura) ha pubblicato un Rapporto: Primary Microplastics in the Ocean: A Global Evaluation of Sources. Dal report si scopre che il 63,1% (quasi 2 terzi) della dispersione di microplastiche primarie degli oceani è dovuto al lavaggio dei tessuti sintetici (34,8%) e all’erosione dei penumatici sintetici durante la guida – 18,3%). Il 77% dei rilasci sono in àmbito domestico, su cui abbiamo enorme potere: basta pile (nel senso del tessuto… ma anche delle batterie!), subito.

Conviene non mangiare gli animali (compresi i pesci)

Nel Mar Tirreno (Liguria, Toscana, Lazio, Campania) tra il 25% e il 30% dei pesci e degli invertebrati analizzati da Greenpeace nel giugno del 2018 conteneva micro-particelle di plastica (134 specie del Mediterraneo sono vittime di ingestione di plastica).

Ma se proprio vogliamo…

mangiarli – e pescarli – collaboriamo con i pescatori, almeno. La sapevate l’assurdità che i pescatori non potevano raccogliere i rifiuti di plastica che incontravano durante la loro attività di pesca – e che spesso la intralciavano –? «Finora, i pescatori che nelle loro reti raccoglievano rifiuti rischiavano di essere accusati di traffico di rifiuti ed erano costretti a ributtare in mare la spazzatura» (!!!).

Ora, con la legge Salvamare proposta dal ministro Sergio Costa «si introducono disposizioni per la promozione del recupero dei rifiuti in mare […] con l’obiettivo di favorire il recupero dei rifiuti accidentalmente pescati, incentivare campagne volontarie di pulizia del mare e sensibilizzare la collettività per prevenire l’abbandono dei rifiuti negli ecosistemi marini», p. 35. «Quella della plastica è un’emergenza planetaria, dobbiamo affrontarla adesso, non si può rinviare – ha dichiarato il ministro Sergio Costa –. L’Italia, che è bagnata per due terzi dal mare, vuole essere leadernella soluzione: ci aspettiamo che il nostro Paese recepisca in tempi record la Direttiva europea sulla plastica monouso e con obiettivi ancora più coraggiosi e ambiziosi» (p. 35).

Sempre meglio…

il sapone del bagnoschiuma;

sempre meglio la vecchia, cara Nivea (in scatoletta di alluminio);

sempre meglio la Coccoina (anch’essa nella bellissima scatoletta di alluminio; guardate quanta plastica c’è – e resta, quando la buttiamo – in un singolo stick di colla!!! Allora sarà facile scegliere;

sempre meglio autoprodurre dentifricio, sapone, shampoo (ricette da p. 154 a p. 157).

Intanto si ricicla

La Commissione Europea ha lanciato un’alleanza per accelerare la transizione del continente verso un’economia circolare. Si chiama Circular Plastics Alliance, e intende raggiungere, entro il 2025, almeno 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata in prodotti nuovi sul mercato dell’Unione Europea. All’Alliance hanno aderito 70 grandi aziende, una sola italiana: la Coop (esempi a p. 101).

Per riciclare bene ricordiamoci di imparare le tante sigle sconosciute (a p. 63). Se una plastica è riciclabile riporta una di queste sigle: PET, PP, PS, PVC, HDPE, LDPE, O, ognuna con un numero. Se leggiamo il numero 7 – corrispondente alla lettera O – vuol dire che l’oggetto è fatto di altri, diversi, polimeri, tutti conferibili nella raccolta differenziata.

E in ufficio?

Cancelleria d’ufficio senza plastica? C’è! Le Pubbliche Amministrazioni che intendono sviluppare politiche di Green Procurement (acquisti verdi) hanno ideato www.AcquistiVerdi.it, un catalogo on-line di prodotti e servizi ecologici. Niente più scuse!

Plastica addio

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