Di Nicola Giannone
Correre per non farsi rubare l’acqua.
Il consumo della suola delle scarpette può raccontare i kilometri percorsi, lo stile, il ritmo o l’andatura ma non spiegherà le motivazioni.
Ognuno corre per raccogliere emozioni che solo chi corre conosce, questi capitoli sono infiniti come infinite sono le emozioni.
Ferragosto 1960:
se le piante potessero parlare avrebbero lanciato un urlo di disperazione. Il caldo appiccicoso sulla pelle, la luce che ondeggiava sui tetti, l’asfalto sembrava bagnato, in fondo alla via il miraggio di una chiesa accerchiata da alberi frangivento che la proteggevano dal calore.
Quel pomeriggio solo le cicale resistevano con il ripetuto canto che sembrava
un grido di disperazione.
In Puglia ai margini del tavoliere, dove la bianca crosta di pietra fa da cornice a
sprazzi di appezzamenti di terra bruciata dal sole, l’acqua è fonte di vita, salvezza del raccolto e quindi sopravvivenza per centinaia di contadini che danzano la pioggia prima e all’abbondanza dei raccolti dopo.
Finalmente una rete idrica di acqua lunga circa 30 km che parte dalla Basilicata con una diga che d’inverno raccoglie l’acqua piovana e d’estate la destina alle nostre terre. Fu questo un grande progetto, i canali in superficie si diramavano attorno ai poderi con le rispettive bocchette chiuse da saracinesche, lucchettate, controllate dal guardacque che ne controllava la distribuzione, naturalmente a pagamento.
Quel pomeriggio avevamo a disposizione 2 ore di acqua, circa 40 litri al secondo…il tempo passava ma l’acqua non arrivava allora mi misi le “scarpe” ed incominciai a correre.
A quell’epoca le scarpe erano autocostruite inventando già il riciclaggio: le
buste robuste ed impermeabili utilizzate per contenere il concime venivano
tagliate a misura e avvolte intorno ai piedi. Le stringhe per tener fermo il sacchetto erano improvvisate con la rafia che si utilizzava anche per legare i rami fruttiferi delle viti.
Mentre correvo scoprii che la mancanza d’acqua era dovuta ai contadini che
la rubavano succhiandola con dei tubi di gomma con il sistema a caduta utilizzato ancora oggi per travasare il vino.
Correvo avanti e indietro come un forsennato per staccare tubi che sistematicamente venivano rimessi. A quei tempi non conoscevo l’acido lattico e forse lo confondevo con veleno biliare che si concentrava dentro di me.
È vero che si ruba proprio tutto: cose, idee, sentimenti ma dell’acqua proprio non ci avevo mai pensato.
Guardando e ascoltando le piante che urlavano per la sete, riuscii anche a perdonare i ladri di acqua, alla fine l’acqua rubata tornava in natura dissetando le piante scheletriche che diventavano così un po’ più rigogliose.
Così si fece sera e mio fratello 17enne, 7 più di me, mi disse: “Questa notte
possiamo prendere l’acqua necessaria visto che è festa di ferragosto e tutti vanno ai fuochi di artificio in paese, noi con questa luna piena ne possiamo approfittare e le piante ne avranno sollievo. Noi faremo festa domani!”
Per organizzare il lavoro e non sprecare neanche una goccia d’acqua il “vecchio” mi diede le giuste dritte: io mi metto all’inizio del filiare dei pomodori e tu ti metti al fondo quando arriva l’acqua, mi avverti e io cambio filare.
Fino a una certa ora mi divertivo a rincorrere il corso dell’acqua facendo gareggiare schegge di legno di diverso tipo o code di serpi, ma quando la luna si ritirò e smise di tenermi sveglio con la sua luce, pensai di mettermi a riposare
sul bordo del ruscello con la mano dove, comunque, sarebbe passata l’acqua
fresca fiducioso che mi avrebbe svegliato e consentito così di avvertire mio
fratello dell’arrivo dell’acqua.
In realtà mi addormentai con la mano fresca nell’acqua per lo sfinimento della
corsa.